martedì 12 maggio 2009

Attualità della Repubblica romana del 1849

di Wathcman

Nata all’una di notte del 9 febbraio 1849 per volontà di un’ assemblea costituente regolarmente eletta a suffragio universale maschile, la “Repubblica romana” resta ad oggi uno dei più arditi e lungimiranti esperimenti di democrazia.
Quando il 24 novembre 1848 il Papa Pio IX era fuggito a Gaeta spaventato dall’espressione violenta di questa necessità riformatrice materializzatasi nell’uccisione del primo ministro pontificio, il cardinale Pellegrino Rossi, il fronte rivoluzionario in Italia aveva già registrato vittorie di primissimo piano.
Firenze Palermo e Venezia erano state “liberate” e presto si sarebbe aggiunta Genova completando un quadro che vedeva i maggiori centri dell’epoca in aperta e radicale trasformazione delle istituzioni verso soluzioni democratiche che lasciava immaginare la suggestiva ipotesi di un’ Italia unione federale di liberi comuni, sogno che avrebbe trainato la rivolta parigina nella Comune del 1871.
La Storia come è noto andò diversamente e se il movimento repubblicano dovette registrare di fatto la sconfitta rivelatasi nelle fattezze del massiccio contingente francese (35.000 uomini) voluto dall’ allora presidente della repubblica e futuro imperatore Luigi Napoleone Bonaparte, più per gratificare l’elettorato cattolico che lo aveva sostenuto che per convinzioni di ordine socio-politico, non possono che essere considerati una straordinaria vittoria i risultati prodotti dalla “Repubblica romana” nel campo dell’ innovazione delle istituzioni e della profondità dei valori espressi nel suo ultimo ma fondamentale documento: la costituzione del 3 luglio 1849, ineguagliato se non con un secolo di ritardo esempio di modernità che ben più dello Statuto Albertino avrebbe influenzato i padri costituenti della repubblica italiana all’indomani del secondo conflitto mondiale.
È innegabile che l’esperienza della “Repubblica romana” fosse l’espressione più matura dei suoi uomini maggiormente rappresentativi: Giuseppe Garibaldi come eroe militare e Giuseppe Mazzini quale statista e ideologo di straordinario spessore.
Fu il corpo di volontari guidati dal condottiero di Nizza a respingere la prima aggressione delle truppe francesi venute a restaurare l’autorità papale e a far traballare il seggio di Luigi Napoleone Bonaparte che scampò, quando la notizia giunse in Francia, a una mozione di sfiducia per soli venti voti.
Fu la lucida visione mazziniana a produrre per la prima volta in Italia e non solo, una repubblica proclamata e legittimata da un’ assemblea eletta a suffragio universale maschile ( e che di fatti non negava il voto alle donne le quali restarono escluse dall’esercizio di questo diritto solo perché la consuetudine non le aveva mai viste esercitarlo), fondata sulla sovranità del popolo e straordinariamente progredita in termini di laicità dello Stato (al Papa veniva riconosciuto la libertà di esercitare il proprio magistero spirituale ma veniva privato del potere temporale), istituzioni sociali (un progetto di riforma agraria prevedeva la concessione di parte dei fondi confiscati al clero in affitto perpetuo alle famiglie più povere) e addirittura diritti umani (la costituzione aboliva la pena di morte con larghissimo anticipo su qualsiasi altro documento nazionale o internazionale).
L’esperienza della Repubblica romana è forse quella che avalla in maniera più evidente la recente teoria, che si sta imponendo nel dibattito storiografico, che individua fra le principali differenze tra i moti del ’48 e quelli del ’49 la più evidente matrice e gestione da parte di forze politiche liberali nei primi e democratiche nei secondi.
Le idee-guida del pensiero mazziniano sono certamente quelle che più hanno influenzato, almeno in Italia, la formazione di un pensiero democratico unitario ed il rapporto, almeno in questo periodo, dicotomico tra la visione liberale e quella democratica è reso evidente dall’ atteggiamento palesemente ostile assunto dal “Risorgimento”, rivista diretta dal liberale Camillo Benso conte di Cavour, in merito all’esperienza dei patrioti romani e al pensiero dello stesso Mazzini (nonostante Cavour ne condividesse alcune sfaccettature quale l’impossibilità di fare un’ Italia unita senza l’appoggio di un potenza straniera, con particolare attenzione alla Francia).
In fondo, non possiamo non riconoscere che se oggi i più autorevoli manuali di storia contemporanea ci parlano di un’ unità italiana raggiunta per una contestuale spinta “dall’alto” e “dal basso” è perché quest’ultima venne da quegli uomini di vocazione democratica formatisi proprio in questo periodo.
Al di là delle considerazioni in merito all’influsso che l’esperienza romana e la sua costituzione ebbero sui successivi moti ed esperimenti democratici e repubblicani, in Italia e non solo, non possiamo ignorare come gli avvenimenti del ’49 siano stati di fatto considerati “patrimonio nazionale” se sono stati e continuano ad essere oggetto di convegni e conferenze.
Come dimenticare la conferenza tenutasi a Ginevra il 9 febbraio 1927 che registrò l’intervento di uno dei futuri costituenti,Giuseppe Chiostergi, e riunì per la prima volta tutti gli antifascisti in esilio permettendo loro di concertare un movimento resistenziale degli esuli.
E come non ricordare che quando il 9 febbraio 1949 il parlamento si accingeva a commemorare i giorni della “repubblica romana” questi ricevettero interventi di plauso persino dai deputati democristiani ( La Malfa: “non so cosa ci riservi il futuro ma so cos’è stata la grandezza della Repubblica romana” ) e comunisti ( Marchesi ricordò gli ideali mazziniani di collaborazione e libertà tra i popoli ).
Oggi non possiamo che riconoscere la straordinaria attualità di quell’ esperienza e di quelle idee; constatiamo che:

• la costituzione che oggi regge la nostra Repubblica è quantomeno figlia se non epigone di quella del ’49

• il sogno europeista ante litteram di Mazzini è una realtà ( anche se non ancora pienamente realizzata )

• che il fascino della modernità e delle idee della repubblica romana ci coinvolgono ancora personalmente ( soprattutto ora che il dibattito sulla laicità dello Stato e sulle prerogative della Chiesa è quanto mai vivace )

viene da domandarci anzi se fra quei valori, fra quelle idee-guida non ne abbiamo trascurata qualcuna di molto importante, come la straordinaria concretezza della forma nel computo istituzionale.
Ci viene da riflettere, proprio in questi giorni in cui il Presidente del Consiglio ci dice che non è possibile governare senza la decretazione di urgenza e che forse sarebbe bene rendere quell’urgenza, che pure esautora il parlamento di alcune delle sue prerogative fondamentali, prassi perché è la sostanza che conta davvero, se quei patrioti che si affannarono lavorando nella notte per approvare la costituzione prima di cedere alla rappresaglia francese, l’avrebbero pensata allo stesso modo.

martedì 5 maggio 2009

"Stella del Mattino" di Wu Ming 4

di Watchman

Platone scriveva "solo i morti hanno visto la fine della guerra",
Wu Ming 4 sembra replicare "no, neanche loro.
Perchè la guerra non finisce,
e i morti continuano a vivere nella guerra che i vivi si portano a casa."

Stella del Mattino è anche e soprattutto questo:
la storia di uomini masticati dalla guerra ma sputati ancora vivi,
che piangono gli amici scomparsi un po' per farli tornare
e un po' per far tornare la guerra,
che li ha cambiati ma che ora è l'unico posto in cui ritrovano un senso.

Sono poeti, storici, artisti ma sono soprattutto vincitori\sconfitti:
che hanno vinto la guerra ma sono sconfitti dai loro demoni;
che hanno sconfitto la morte ma sono vinti dal ritorno alla vita.
E' in primo luogo per questo loro essere così molteplici e definiti, vari e chiari allo stesso tempo che vengono travolti da l' "uomo incompiuto" che non è dio e non è satana, che è un re senza corona e un condottiero senza spada, che è la nemesi e il lato oscuro e lo specchio crudele.

Stella del Mattino è il libro dell' anima, della verità che distrugge le parole e la storia di grandi portatori di parole (Tolkien, Lewis, Graves...) che non riescono a parlare di verità.
E' la dimostrazione che è la verità a fare della storia un capolavoro (e non una storia se capolavoro ad assurgere al rango di verità), perchè la verità è la parola dell'anima.
E' per questo che le poesie di Graves sono belle solo quando parlano della guerra, perchè la guerra è la verità;
è per questo che la "terra di mezzo" ha un senso solo se parla di questo mondo e non di un altro, perchè è QUESTO mondo la verità;
è per questo che le fate di Lewis trovano la strada per "uscire dal forziere" solo se quello è il forziere della SUA vita, perchè quello che sta in QUEL forziere è la verità.

Poi, potrei dilungarmi sul testo, disquisire sul fatto che la prosa scarna e diretta rende un po' farraginosi gli ingranaggi finchè non si inquadri la chiave di lettura,
ma sarebbe come dire che è difficile capire il mondo e l'uomo finchè non li si guardi attraverso la verità,
e allora sarebbe solo dire quello che Stella del Mattino dice già, sarebbe solo mortificare quello che si trova alla fine del viaggio, sulla strada di quella stella.
Quindi vale la pena di farlo questo viaggio,
dalle trincee\paludi stigee sulla Somme fino nel deserto nel vento caldo di Damasco.
Per aspera ad astra: attraverso le asperità della guerra fino nel cielo, alle stelle.
Anzi, alla stella: la Stella del Mattino che splende sulla rotta di Wu Ming 4